Deludente esito del congresso straordinario di Milano
Vi proponiamo una preoccupata e preoccupante analisi del congresso straordinario dell’Avvocatura tenutosi a Milano nei giorni scorsi.
Milano 2012: Il Congresso delle occasioni perdute
Categoria: ANF TV NOTIZIE
Da un’avvocatura messa da tempo all’angolo da leggi finanziarie, decreti vari e, in ultimo, dal varo definitivo delle liberalizzazioni, ci si attendeva un congresso davvero “straordinario”, effervescente e ricco di contenuti. Questo almeno lasciava prevedere la grande movimentazione registrata nel corso degli ultimi mesi da parte di una categoria pronta a compattarsi su contenuti e proposizioni.
Attese andate in massima parte deluse, perché quello di Milano è risultato invece un Congresso “precotto”, ravvivato solo in dirittura d’arrivo da fuochi d’artificio esplosi in sede di approvazione delle mozioni, e nulla più.
Davvero poco, anzi probabilmente del tutto inutile per una categoria che deve fare i conti con un Governo che, chiamato per sua espressa ammissione a fare un lavoro sporco che i politici di ruolo si sono ben guardati dall’affrontare, ha dimostrato nei fatti di non volersi sottrarre al compito, come dimostra la dura posizione assunta in tema di welfare, lavoro, art. 18 e vicende connesse.
Le premesse
I più attenti osservatori e gli addetti ai lavori avevano iniziato a subdorare già da un paio di mesi a questa parte che questo Congresso potesse almeno in parte venir meno alle attese. Significativo al riguardo l’andamento delle riunioni del Comitato organizzatore che, sebbene ripetutamente convocato, non è mai riuscito a deliberare formalmente i temi congressuali, essendo sul punto assai divergenti le opinioni dei partecipanti.
L’input era evidentemente quello di sterilizzare il Congresso, alzando una muraglia insormontabile verso quanti chiedevano invece che l’evento di Milano non fosse non la rilettura di una pagina già scritta ma un momento di effettivo e reale confronto per l’avvocatura, chiamata a dare segni evidenti di vitalità al Governo.
Inutili si sono rivelate le sollecitazioni a consentire un’ampia partecipazione (vedi allegato), con pari dignità, a tutte le componenti dell’Avvocatura, rivolte dal Segretario di ANF Ester Perifano ai Presidenti di CNF, OUA e Cassa Forense, ragion per cui, avviandosi per tempo, ANF ha trasmesso in anticipo a tutti i delegati congressuali un proprio documento politico (vedi allegato), sulla base del quale in Congresso ha poi depositato nei termini previsti due mozioni: vedi link 1 – 2.
Tutto inutile: il dibattito congressuale è risultato infatti limitato alle sole questioni ritenute accettabili per le rappresentanze nazionali, delle oltre 60 mozioni presentate ne sono state poste in votazione solo 17, delle altre si ignora, allo stato, la sorte.
Come pure non è ancora stato circolarizzato, alla data in cui scriviamo, il testo definitivo delle mozioni votate, approvate o respinte, per cui non siamo in grado di darvene conto.
La cronaca
Le relazioni dei vertici del CNF, dell’OUA e della Cassa di Previdenza hanno assorbito la prima sessione dei lavori. Assente per un serio malore il presidente del CNF Guido Alpa, gli onori di casa sono stati dunque fatti, oltrechè dal presidente del COA di Milano, Giuggioli, dal vicario Perfetti, il quale ha rotto il ghiaccio ripercorrendo, asetticamente, il cammino tutto in salita percorso dall’avvocatura da qualche anno a questa parte.
Ad accendere gli animi ci ha pensato il presidente dell’OUA Maurizio De Tilla, che ha arringato la platea richiamando per l’ennesima volta le questioni oggetto di contrasto con il Governo ed il legislatore, dalla contestata obbligatorietà della mediazione all’abolizione delle tariffe, tanto per citarne alcuni. E poi Bagnoli per la Cassa Forense, altra istituzione chiamata ad un difficile dialogo con la politica sulla sostenibilità del nostro sistema previdenziale nel lungo termine.
Due i comuni denominatori, entrambi negativi, degli interventi ascoltati: le scontate lamentazioni verso provvedimenti normativi mai andati nella direzione sperata dall’avvocatura e la mancanza di una pur minima propositività alternativa sul da farsi, in un momento assolutamente critico per la categoria. Insomma, calma piatta all’orizzonte (nonostante le tempeste che ci circondano).
Ancora più deludente il seguito, con interventi ridotti all’osso nei tempi e priorità accordata ai rappresentanti dei Consigli degli ordini, relegando di fatto le associazioni e la base dell’avvocatura ad un ruolo volutamente marginale, tanto da indurre più d’uno a rinunciare a prendere la parola. In una sala quasi vuota si è così consumata la giaculatoria sulle ingiustizie perpetrate ai danni dell’avvocatura.
La seconda giornata, limitata al mattino, è iniziata con grande ritardo solo alle 11,30, quando la presidenza del Congresso è stata chiamata a gran voce dagli spazientiti delegati a presentarsi in sala. La difficoltà del lavoro della Commissione mozioni, chiamata a valutare ed accorpare documenti di vario genere e contenuto, è stata la giustificazione addotta.
E qui è maturato il secondo atto di quella che si è rivelata una strategia ben studiata: la Commissione mozioni, di cui alla vigilia del Congresso erano stati chiamati a far parte solo esponenti di CNF, OUA e Cassa Forense, oltre a Giuggioli del COA di Milano, dando seguito all’imput di portare in approvazione solo mozioni “gradite”, ne ha ritenute ammissibili solo 17 sulle circa sessanta presentate.
Proprio in questa fase delegati e congressisti hanno peraltro appreso con non poca sorpresa che oggetto del Congresso non era la riforma dell’ordinamento forense, come forse qualcuno aveva potuto pensare, ma la specificità della professione forense in ambito costituzionale, comunitario e dell’ordinamento interno, la qual cosa ha portato a far ritenere non ammissibili (quasi) tutte le mozioni non aventi stretta pertinenza. Il “quasi” è legato al fatto che inspiegabilmente alcune delle mozioni votate avevano però ad oggetto aspetti ordinamentali, quali il praticantato e l’accesso.
E’ stato questo l’unico vero momento di vivacità del congresso, con la presidenza in seria difficoltà, incapace di fornire risposte adeguate a quanti, a cominciare da Ester Perifano, hanno chiesto (inutilmente) spiegazioni sui criteri seguiti dalla Commissione mozioni, sui perché delle ritenute inammissibilità, etc. Stupefacente poi l’aver ripescato, quasi fosse un “fuori sacco” per usare un termine giornalistico, una mozione esclusa (tra i firmatari Sergio Paparo) ma di fatto di contenuto quasi analogo ad altra ritenuta invece ammissibile.
Poi tutti a casa, ognuno portando con se valutazioni diverse. Non prima di aver registrato l’ennesima, pittoresca idea di Maurizio de Tilla di “una grande marcia gandhiana che attraversera’ tutto il Paese e che culminera’ con una grande manifestazione nazionale a Roma” (sic!) .
Occasione perduta
La sensazione più diffusa, stando almeno ad ascoltare i “fuori onda” di delegati e congressisti, è che questo Congresso sia stato una inutile perdita di tempo. All’apparenza ha finito col prevalere la linea indicata dal CNF, grazie ad un Organismo Unitario consenziente ma che ha così, assai chiaramente, reso evidente la propria inadeguatezza a svolgere quel ruolo di rappresentanza politica UNITARIA per il quale era stato pensato.
All’atto pratico c’è realmente da chiedersi se celebrare Congressi come quello di Milano abbia ancora senso. Mai come questa volta, infatti, l’avvocatura porta a casa risultati privi di una qualche rilevanza ed apprezzabilità: talune delle mozioni approvate esprimono solo aspirazioni ancestrali e ipotetiche (ritorno ai minimi tariffari, referendum popolare sull’abolizione della media conciliazione, etc.), altre si limitano a enunciazioni di caratteregenerale (sulle modalità della revisione della geografia giudiziaria, sulla istituzione del tribunale delle imprese), altre ancora illustrano problematiche di settori specifici (giustizia amministrativa, giustizia tributaria).
Non vi è invece stata, e non poteva esservi per tutte le ragioni sopra indicate, la indicazione di una linea politica complessiva, fatta di proteste ma anche di proposte, sulla base delle quali negoziare con il Governo ( e con il Parlamento) le misure future che ci riguarderanno e che sono dietro l’angolo.
Insomma, è stata una occasione dolorosamente perduta.
E le occasioni perdute dipendono solo dalla mancanza di sensibilità e di apertura dell’avvocatura ai segnali che il mondo reale le invia. Una società congelata non solo è ingiusta: si illude di proteggersi, ma in realtà sciupa le sue risorse migliori e finisce con l’indebolirsi. Un lusso che l’Avvocatura non può più permettersi.
Nessun commento
Sei il primo a lasciare un commento.